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giovedì 23 ottobre 2014

OLTRE EXPO2015 PER IL DIRITTO ALLA CITTÀ

expofamaleOLTRE EXPO2015 

PER IL DIRITTO ALLA CITTÀ

DOCUMENTO POLITICO CONCLUSIVO
Grandi opere e mega-eventi: liberiamocene!
11-12 ottobre 2014, Milano
L’11 e il 12 ottobre cittadine e cittadini, movimenti e comitati si sono ritrovati a Milano per ribadire il loro No e la loro volontà di resistenza di fronte all’Esposizione Universale del 2015 e ai processi che il mega-evento veicola ed impone.
La due giorni è stata una tappa importante nel ricco calendario di lotta per l’autunno con cui in tutto il paese abbiamo deciso di prendere parola di fronte alla restaurazione neoliberista che i poteri economici, politici, finanziari, militari stanno applicando in Europa e nel mondo.
Expo2015 è un tassello, Milano uno spicchio, eppure è qui che si intrecciano forti interessi e pericolosi processi sociali; è qui che si sta sperimentando un nuovo modello economico, lavorativo, di governo del territorio.

Il corteo di sabato 11 e le assemblee di domenica 12 hanno portato a due ordini di discorsi: uno interno, legato al contesto milanese e lombardo; l’altro di respiro più ampio, capace di mostrare il rilievo nazionale della battaglia NoExpo.
ROMPERE LA ZONA GRIGIA, SOSTENERE L’OPZIONE ZERO
Le parole d’ordine della manifestazione NoExpo, dove hanno sfilato oltre 4000 persone per i luoghi simbolo della trasformazione urbana, sociale e territoriale di Milano, assieme alle linee tracciate dall’assemblea generale di domenica mattina, parlano chiaramente: il nostro programma politico minimo è ancora l’opzione zero, l’annullamento di Expo e la reversibilità dei processi con esso avviati.
Nonostante infatti manchino poco meno di 200 giorni all’apertura dei cancelli e nonostante ormai nell’opinione comune la realizzazione e lo svolgimento di Expo siano ormai irreversibili, noi continuiamo a sostenere l’unica opzione che ci sembra praticabile: con il mega-evento e la sua macchina politico-economica non si scende a compromessi, né si può accettare la retorica inclusiva e partecipativa che vorrebbe l’Esposizione universale un luogo e un’occasione per tutti.
Expo2015 si può e si deve ancora fermare: non consideriamo per un attimo i ritardi oramai strutturali nella realizzazione concreta del Sito espositivo e della maggior parte delle opere accessorie, senza parlare delle tangenti milionarie che hanno ulteriormente rallentato i lavori; la devastazione dei quartieri interessati dalle infrastrutture di servizio, il saccheggio delle risorse collettive, lo sfruttamento lavorativo nei cantieri adesso e nelle attività legate ad Expo nei 6 mesi dell’evento, la contraddizione tra il claim “Nutrire il pianeta” e la reale devastazione e coercizione di milioni di vite che diventano prodotto economico da vendere, imbellettate da un supposto made in Italy, l’esautoramento degli organismi rappresentativi a causa dei poteri speciali del SuperCommissario: tutto questo si può e si deve ancora fermare.
E’ proprio questo che ci insegna la lotta NoCanal, contro la devastante Via d’Acqua che avrebbe dovuto attraversare il polmone verde di Milano, i quattro parchi dell’ovest cittadino: opera bloccata e messa seriamente in discussione solo dalla mobilitazione dei cittadini e degli attivisti NoExpo, che per oltre un anno e con ogni clima, dalle primissime ore del mattino hanno impedito ai lavori di iniziare e proseguire. Proprio i NoCanal hanno rappresentato la forma di un’opposizione sociale capace di inceppare gli ingranaggi della macchina Expo. Non a caso nel corteo di sabato 11 particolare attenzione è stata dedicata alla battaglia contro la Via d’Acqua (presente uno spezzone NoCanal) e l’assemblea mattutina di domenica 12 si è svolta al quartiere Gallaratese, uno dei luoghi simbolo della protesta.
Ma è questo che ci insegnano anche i compagni del Pacì Paciana di Bergamo e gli attivisti del Comitato di Zingonia nella bergamasca, che da anni portano avanti una battaglia dentro il quartiere-città voluto per raccogliere la manodopera negli scorsi decenni ed ora a rischio distruzione a causa del reticolo autostradale progettato (e per fortuna solo in parte realizzato) per Expo.
E’ infine questo il senso delle campagne di rifiuto del lavoro non pagato, spacciato nella comunicazione di Expo come opportunità, che hanno già messo a segno un primo risultato nel radicale ridimensionamento da parte di expo spa del numero di “volontari” necessari all’evento, ridotti ad un terzo delle previsioni iniziali.
La manifestazione di sabato ha messo in evidenza due questioni da cui ripartire: la prima è la capacità di mobilitazione unitaria da parte delle realtà coinvolte nelle lotte di questi anni, la seconda è la necessità di raggiungere una cerchia molto più ampia di persone, toccate dalle nocività di Expo ma ancora lontane da una mobilitazione reale.
E’ infatti necessario affiancare, all’incessante lavoro di denuncia e svelamento dei dispositivi di Expo, una riaffermazione del concetto di Diritto alla Città , mettendo in campo:
*pratiche capaci di rappresentare un’altra idea del territorio attraverso la riappropriazione degli spazi che l’economia dell’evento destina all’abbandono e alla speculazione finanziaria;
*un’altra idea di lavoro, sul terreno dell’autoproduzione, che possa rappresentare una scelta praticabile e per cui valga la pena mobilitarsi, rifiutando la cooptazione della macchina-Expo.
Stiamo parlando di tutti quei soggetti che oggi rassegnati al doversi piegare al ruolo ed alle condizioni esistenziali che il mega-evento attribuisce loro.
Se infatti l’incapacità manifesta e l’atteggiamento predatorio dei responsabili del mega-evento hanno da tempo allontanato l’opinione pubblica da ogni entusiasmo, le mille sirene di expo sembrano comunque riuscire a far dimenticare gli scempi fatti in suo nome sul territorio o a creare una qualche aspettativa in coloro che sono chiamati a lavorare gratis in cambio di una promessa di visibilità o, infine, di coinvolgere comunque quel tessuto associativo/cooperativo, che pur essendo critico, vede in expo un’opportunità economica per sopravvivere il prossimo anno, cercando di nascondere la contraddizione tra il claim “Nutrire il pianeta” e la reale devastazione e coercizione di milioni di vite che diventano prodotto economico da vendere, imbellettato dal mantra, ormai privo di significato, del made in Italy.
Permane una disposizione ad accettare come inevitabile il portato di Expo, di cui tanto vale prendere quel poco di buono che c’è. Così questo aspetto diventa rilevante nella pretesa valorizzazione della formazione scolastica e universitaria tramite il volontariato o i contratti di somministrazione per gli studenti, enorme bacino di manodopera a costo zero.
Molte realtà poi, che si definiscono da sé come progressiste, altermondiste, o figlie del riformismo ecologico e alimentare, dopo aver mostrato un approccio “critico” verso Expo, hanno accettato di parteciparvi “in modo costruttivo”, per proseguire nella ricerca di contatti tra le istituzioni e i soggetti di mercato presenti, con lo scopo di raggranellare finanziamenti diretti o indiretti per i propri progetti: Slow Food, Arci, Legambiente, Manitese, WWF, tra i tanti, e molti, troppi Distretti di Economia Solidale (tutti presenti in Cascina Triulza come “EXPO dei popoli”). Tolti i casi particolari di Eataly e COOP Italia, i due monopolisti interni al sito Expo e tra i soggetti economici più potenti in Italia nel campo agroalimentare, che si presentano come il volto buono e giusto dello sfruttamento lavorativo e di ogni esistenza, umana e animale, negli altri casi ci si è illusi di poter portare contenuti progressisti e di giustizia alimentare dentro un evento di segno opposto. In questo modo si è solo contribuito ad una legittimazione su più ampia scala di Expo – e dei processi e delle dinamiche che lo caratterizzano – che si potrebbe concretizzare nella ricerca di volontari tra chi già lo fa per queste singole sigle no-profit, sovvertendo il significato stesso di volontariato.
E’ arrivato il momento di rompere definitivamente questa zona grigia e questa ambiguità di fondo: o ci si oppone al modello-Expo, oppure si è complici dello sfruttamento del lavoro, di quell’ipoteca sul futuro che è il debito, della gentrificazione dei quartieri, della devastazione ambientale, dello sfruttamento degli animali, della privatizzazione della mobilità, della disuguaglianza alimentare.
Al tempo stesso tuttavia, come già detto, riteniamo necessario che il vasto reticolo dell’opposizione sociale e politica ad Expo riesca a costruire e rappresentare un’alternativa valida: troppo spesso infatti più che di “tradimento”, si tratta di ingenuità, poca informazione, o mancanza di altre opzioni praticabili e realistiche.
La nostra sifda è rompere l’ambiguità non solo con la denuncia, ma anche con una progettualità e delle proposte forti, radicate, reali.
Questa la posta in gioco, questa la scelta da fare.Quella contro Expo è una battaglia che riguarda non solo Milano, non solo l’Italia, ma l’Europa intera. Il sistema Expo è di fatto uno degli strumenti di cui si serve la Troika per consolidare anche a livello locale quella logica di accumulazione del capitale a beneficio di pochi circuiti definiti soffocando ogni possibilità di redistribuzione delle ricchezze. La sfida parte quindi dal locale, ma è globale Chiamateci pure massimalisti, ma troppo spesso la sospensione del giudizio e l’impossibilità di scegliere altre strade sono stati solo delle scuse per non prendere posizione o lasciare dei vuoti, riempiti dai peggiori orrori.
SE EXPO2015 E’ IL LABORATORIO, L’ATTITUDINE NOEXPO E’ IL NOSTRO MODELLO ANTAGONISTA
Durante l’assemblea pubblica, tenutasi nel Gallaratese, e l’incontro su sovranità alimentare e sovranità sociale, svolta nella fabbrica autogestita Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio, il dialogo nato tra le persone presenti ha saputo individuare i processi principali che si nascondono dietro lo spettacolo del mega-evento e a cui opponiamo il nostro modello alternativo e antagonista.
Se infatti l’Esposizione universale ha una durata temporale e fisica delimitata (6 mesi, nell’area di 1 Mln di mq tra Rho e Pero), i meccanismi messi in moto e le sue eredità continueranno anche in futuro, segnando il futuro del territorio. Allo stesso modo le assemblee hanno voluto ribadire che anche la lotta NoExpo non si pone una durata limitata, ristretta tra il periodo che ci separa dal Primo Maggio e il 31 ottobre 2015, quando Expo finirà: NoExpo si pone come percorso di lungo respiro, capace non solo di inceppare il mega-evento, ma anche di radicarsi come pratica di riprogettazione dal basso della città e del territorio.
Cosa si nasconde infatti dietro Expo2015?
• Il consolidamento di un’economia metropolitana fondata sugli eventi e sugli spettacoli, che prevede un’alta disoccupazione permanente e un lavoro stagionale, precario e sempre più spesso volontario. Gli accordi sindacali e lavorativi su Expo, superando i confini temporali e spaziali del mega-evento, ci raccontano di una atomizzazione radicale della forza-lavoro, sempre più privata, come degli strumenti legali per l’auto-organizzazione e la lotta sindacale: la precarietà è la vera scuola, che inizia a 16 anni per una durata, quella sì, indeterminata.
• Un modello di alimentazione e utilizzo delle risorse fortemente iniquo, asservito agli interessi dei monopoli e costruito sul territorio tramite un vasto reticolo di intermediari e distributori; l’agroindustria è uno dei principali business internazionali, fondata sulle braccia di lavoratori sfruttati e sottopagati, è il motore che spinge gli interessi europei e americani su Expo, il cui vero obiettivo appare sempre più il forzare la mano sugli Ogm e sulla liberalizzazione del settore agricolo e alimentare, nei paesi (in primis l’Italia) che ancora pongono “eccessivi” vincoli. Come nel settore dell’acqua in cui multinazionali e governi al loro servizio, come il nostro, spingono sempre più verso la liberalizzazione e la privatizzazione, laddove non c’è ancora. Il fatto che la piazzetta tematica dell’acqua nel padiglione Italia sia stata appaltata alla Nestlè, tra le maggiori multinazionali responsabili della mercificazione dell’acqua, la dice lunga sul messaggio che Expo vuol dare.
• una retorica verso gli animali-cibo che fa proprie le sensibilità e le parole d’ordine degli animalisti solo per creare consenso e marketing, nascondendo le vere torture e dominazioni che, invece, continueranno a perpetuare sui più deboli senza nessun cambiamento esistenziale;
• un governo del territorio che fa dello stato d’emergenza e d’eccezione la normalità (giustificata da una Grande crisi che ormai si rivela strutturale), che ignora la volontà popolare e il principio della trasparenza, esautora gli organismi elettivi, consegna la pianificazione urbana e territoriale al mercato: nuovi dispositivi di governo non solo legislativi, ma anche radicati nella città attraverso la spartizione legale e illegale dei diritti edificatori, che ridisegnano la geografia urbana (e l’intreccio di livelli che si porta dietro: mobilità, cultura, alimentazione, economia, formazione, lavoro).
La grande beffa è che tutto questo viene realizzato indebitando ulteriormente la collettività: gli oltre 10 miliardi di Expo e delle opere accessorie (in particolare il reticolo autostradale, realizzato per un terzo), pesante zavorra che purtroppo temiamo ci troveremo a dover subire per decenni quando la sbornia expottimista sarà finita e la città si ritroverà più povera, ingiusta, cementificata.
Come rete Attitudine NoExpo e come movimenti che hanno animato la due giorni dell’11 e 12 ottobre siamo consapevoli che è arrivato il momento di unire le forze e intensificare l’azione collettiva contro il modello Expo2015, ribadendo con decisione il nostro antagonismo: la sovranità alimentare e la sovranità sociale contro il modello dell’agrobusiness; l’autorganizzazione, il diritto al reddito e la centralità dei lavoratori contro la precarietà e lo sfruttamento del lavoro ed il
boicottaggio de lavoro volontario attraverso campagne di sensibilizzazione, inchieste e subvertising a partire da mondo della formazione; la difesa della Terra e il recupero del verde pubblico e dei terreni agricoli, rivalutati in chiave di utilità sociale e collettiva; la riorganizzazione di scuole e università liberate dall’asservimento al mercato e alle aziende; una mobilità pubblica per tutte e tutti; la priorità all’emergenza sociale della casa e l’assegnazione alle famiglie senza un tetto; la crescente sperimentazione di forme di socialità non assoggettate al mercato, inclusive e capaci di riconoscere la dignità dell’Altro in ogni suo desiderio o esistenza; l’acqua diritto umano e non merce.
Per ribadire tutto questo è stato condiviso un programma delle prossime iniziative, da svolgersi in parallelo alla costituzione di un laboratorio aperto e collettivo sul diritto alla città:
• 14 novembre: sciopero sociale
• Dicembre: nuova mobilitazione NoExpo
• 30 aprile – 3 maggio: meeting internazionale contro il modello-Expo
E’ tempo di dimostrare la percorribilità di un modello sociale, di sviluppo e di civiltà alternativo, antagonista, che abbia come principio di base l’uguaglianza.
11-12 ottobre 2014, le compagne e i compagni della Rete Attitudine NoExpo

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